Roma, 12 ottobre 2022 – In vista delle prossime giornate CELI (14-16. ottobre) abbiamo intervistato Gisela Matthiae, Teologa e artista di clownerie, che animerà uno dei laboratori previsti.
Nata a Geislingen an der Steige, dopo la maturità, si trasferisce a Tubinga: lì e in seguito a Roma e Amburgo ha studiato teologia protestante, teologia femminista a Berkeley. Qui i primi contatti con il ministero della clownerie.
Pastora a Stoccarda, quindi assistente di studio presso l’Accademia protestante di Bad Boll. Collabora, dal 1998 e poi dirige dal 2003 al 2007 col Centro di studi ed educazione femminile della EKD a Gelnhausen. Da maggio 2013 a luglio 2014 ha ricoperto un incarico nella gestione del Centro d’incontro delle donne protestanti di Francoforte sul Meno.
Cosa significa per lei essere una teologa e una clown?
Per me è un modo meraviglioso di lavorare in autonomia. Con i miei spettacoli teatrali, come direttore di formazione per il teatro clown nella chiesa e per l’incontro con la clownerie nelle case di riposo e di cura. Faccio molta ricerca e scrivo di commedia e teologia, di Bibbia e umorismo. Tengo anche seminari come humour coach per diversi gruppi professionali. Le mie pubblicazioni si trovano sul web e su libri e riviste.

Come si combinano teologia e umorismo?
L’umorismo è un atteggiamento che si manifesta ed è utile quando non c’è proprio nulla da ridere. Con l’umorismo si affrontano le difficoltà e talvolta la disperazione della vita in maniera spiritosa e allegra. Non si lascia che le tragedie abbiano l’ultima parola nella nostra vita. L’umorismo, quindi, suscita fiducia e ottimismo. Le sprigiona. In questi passaggi appena accennati credo si possa già sentire la presenza della teologia. Infatti anche la fede affronta i problemi, conosce la vulnerabilità e il fallimento. Così come una risata umoristica non è mai una risata beffarda, che ride con gli altri, le altre, anche la fede cristiana è caratterizzata dall’amore e dalla fiducia. Questo è il centro del mio lavoro, che si manifesta in tutto ciò che faccio.
Nel culto e durante gli eventi della chiesa, le persone di solito non ridono così spesso e ad alta voce: ci prendiamo forse troppo sul serio?
Oh sì, ci prendiamo troppo sul serio! Ma non siamo soli in questo. Sia all’interno che all’esterno delle chiese, la maggior parte delle persone prende troppo sul serio se stessa e le proprie convinzioni. Sia l’umorismo che la fede possono aiutare. Perché entrambi partono dalla consapevolezza di quanto ci sbagliamo continuamente, quanto sia importante ascoltarci a vicenda, quanto sia importante il dialogo e la capacità di imparare e analizzare di nuovo. In altre parole: quanto è importante guardare il nostro naso (rosso) di tanto in tanto! Soprattutto, ma non solo, nelle questioni di fede c’è molto fanatismo e fondamentalismo. L’umorismo non è il contrario della serietà, ma il contrario di tutto ciò che non è autocritico e relativizzante. Quindi la fede a volte ha un gran bisogno di umorismo.
Cosa la fa ridere a crepapelle?
Tutto ciò che di divertente incontro nella vita di tutti i giorni, e ce n’è molto. 15 cartelli stradali in un incrocio solitario in mezzo alle montagne, per esempio. O regolamenti esagerati. Credo che in alcuni Paesi non sia permesso baciarsi in pubblico. Le persone severe possono anche essere molto comiche, anche se in maniera piuttosto involontaria. Ciò che è divertente mette sempre in discussione le nostre abitudini e le nostre visioni. Molte persone ne sono infastidite, quindi credo sia meglio riderci sopra. Speriamo così di riuscire a cambiare qualcosa.

Secondo lei, cosa caratterizza il buon umore?
Ridere di se stessi, ridere con gli altri e non di loro. Idee divertenti e spiritose in situazioni difficili. Quando una cosa del genere riesce e tutti ridono insieme, di solito nascono le conversazioni migliori senza che nessuno debba vergognarsi. Il buon umore è amichevole di fronte agli errori, è speranzoso quando tutti gli altri sono già disperati, porta allegria perché rimane pieno di gioia di vivere e di curiosità.
Cosa possono aspettarsi i partecipanti al vostro workshop?
Sorprese! Con l’umorismo si può riuscire a trasformare le situazioni, anche un po’ se stessi. Fa bene e crea relax. Ed amplia anche lo sguardo verso il futuro: “Perché no, potrebbe essere possibile…!”. Ci muoviamo, giochiamo, improvvisiamo, il tutto in modo semplice e leggero.
La fede e l’umorismo si fondano su qualcosa di invisibile, sull’apparentemente impossibile. Perché?
Esattamente. Entrambi esprimono la convinzione che un mondo migliore e persone migliori siano possibili. Già Paolo chiama se stesso e noi quindi “pazzi folli in Cristo”! Altri dicono oggi che questo è ingenuo o naïf. Certo lo è! Eppure è un modo meraviglioso, il migliore, per affrontare il tragico.
In tempi di guerra, i cristiani cercano risposte e conforto nella fede. L’umorismo può rafforzare la nostra fede?
Sì, e per questo può farci bene guardare alle persone stesse, alla loro resistenza politica, alle loro azioni a volte buffe. Ricordo un manifesto affisso da un uomo in Russia. Era assolutamente vuoto, vuoto e bianco. Tuttavia, il messaggio era chiaro all’inizio della guerra. Con l’umorismo si cerca di rimanere soggetti, di non lasciarsi sottrarre il proprio potere di interpretazione. Il nostro compito è sostenere queste persone e non perdere la speranza. Molte cose belle accadono nel bel mezzo della miseria. La domanda è sempre dove il nostro sguardo si posa. Sarebbe troppo deprimente diventare cinici di fronte alla guerra. E questo, credo, darebbe anche troppo potere agli aggressori.