
Alan Kurdi: dieci anni dopo
Dieci anni dalla morte di Alan Kurdi: un ricordo che interroga le coscienze mentre i bambini continuano a morire in mare.
Dieci anni dopo
Dieci anni fa, il 2 settembre 2015, il mondo rimase scosso dall’immagine del piccolo Alan Kurdi, trovato senza vita su una spiaggia turca.
La foto, scattata dalla fotoreporter Nilüfer Demir, fece il giro del pianeta in poche ore, diventando simbolo della tragedia dei migranti e suscitando un’ondata di indignazione e solidarietà.
Un’immagine che ha cambiato il discorso pubblico
Lo scatto di Alan Kurdi, due anni, vestito con pantaloncini blu e maglietta rossa, disteso senza vita sulla sabbia, contribuì a cambiare la percezione collettiva delle migrazioni.
Molti furono coloro che compresero che dietro ai numeri ci sono vite spezzate, bambini e famiglie costrette a fuggire da guerre e persecuzioni.
L’impatto dell’immagine fu enorme: trasformò il dibattito pubblico, mobilitò manifestazioni e iniziative di accoglienza, e contribuì all’apertura delle frontiere a migliaia di rifugiati siriani rimasti bloccati in Ungheria.
Un solo scatto. Una foto. Una immagine capace di cambiare la narrazione che si stava svolgendo sul fenomeno migratorio
Dal simbolo alla realtà attuale
Il ricordo di Alan Kurdi ha ispirato anche il mondo del soccorso civile in mare: la ONG tedesca Sea-Eye battezzò una delle sue navi “Alan Kurdi”.
La nave ha contribuito a salvare oltre 900 persone tra il 2018 e il 2021.
Tuttavia, oggi la situazione è peggiorata. Come denuncia UNICEF, in dieci anni almeno 3.500 bambini hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale: in media quasi uno al giorno.
Nonostante le mobilitazioni del 2015, nessun Paese dell’Unione Europea ha approvato alcun provvedimento mirato ad aumentare la protezione dei rifugiati.
Al contrario, il controllo delle frontiere è diventato più duro e le politiche migratorie sempre più restrittive.
Un silenzio che pesa
Il decennale della morte di Alan Kurdi è un’occasione per riflettere sul nostro impegno cristiano, umano ed europeo.
Come chiese luterane, non possiamo dimenticare che ogni vita conta, e che la fede ci chiama a difendere i più fragili, offrendo voce, sostegno e solidarietà a chi fugge dalla guerra e dalla miseria.
E talvolta non servono neppure molti discorsi: basta una immagine per guardare in faccia la realtà.