
Otto per mille: chi paga il prezzo degli errori se lo Stato non chiarisce?
Errori non chiariti e responsabilità rovesciate: il caso CELI e il paradosso fiscale che mina la fiducia democratica.
Otto per mille: un errore oscuro e il prezzo dell’opacità
Nel 2019 la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (CELI) è stata informata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) di un presunto errore nella trasmissione dei dati relativi all’otto per mille del 2014.
Secondo il Ministero, migliaia di firme le sarebbero state erroneamente attribuite da un Centro di Assistenza Fiscale (CAF) nazionale.
L’unico dato certo oggi è proprio questo: l’errore quindi non è imputabile alla CELI. Del resto, come potrebbe esserlo?
Tuttavia, lo Stato chiede alla Chiesa di restituire oltre 2,3 milioni di euro già ricevuti, impiegati e rendicontati, pur senza fornire una documentazione chiara, né specificare chi sia stato realmente danneggiato.
Gli atti forniti sono infatti oscurati, le informazioni incomplete, e ogni verifica resa impossibile.
Trasparenza fiscale e democrazia: un legame spezzato
Il fisco non è un mero apparato tecnico. È una struttura fondante della democrazia. Pagare le tasse è un atto civile e collettivo che rafforza la società, ma solo se la gestione pubblica è trasparente, comprensibile, accessibile.
Se invece la burocrazia diventa opaca e le responsabilità vengono ribaltate su chi agisce correttamente, allora la fiducia nella democrazia si spezza.
La CELI ha rispettato la legge, ha speso le risorse in progetti per la collettività entro i tempi previsti, e ha documentato tutto nei rendiconti ufficiali. Eppure oggi si trova accusata e gravemente danneggiata da un sistema pubblico che non spiega.
Il paradosso: chi sbaglia non paga, chi è corretto subisce
Non solo la CELI rischia di sospendere attività sociali, culturali e caritatevoli in tutto il Paese. Rischia anche un danno d’immagine irreparabile. Viene ingiustamente trascinata nel pregiudizio diffuso contro quegli Enti che “prendono soldi dallo Stato senza controllo”.
Proprio quando, invece, è tra i pochi a pretendere trasparenza e a restituire valore alla collettività con ogni euro ricevuto. Tanto più che, ove mai l’errore venisse dimostrato e quindi non imputabile in alcun modo alla CELI, il Ministero chiederebbe anche gli interessi maturati nel periodo di verifica intercorso fino ad oggi.
Serve giustizia vera: chi garantisce i sistemi, ne sopporti i costi
Se l’errore è stato prodotto da un CAF nazionale, come affermato dal MEF, allora è giusto che i costi siano sostenuti da chi ha generato l’errore: cioè da chi fornisce e garantisce, dietro corrispettivo per i servizi forniti, i sistemi informatici utilizzati, e dalle assicurazioni che tutelano i processi di trasmissione dati.
Non si può accettare che, in uno Stato di diritto, l’onere economico di un errore altrui ricada su chi ha agito con correttezza.
Il principio di responsabilità deve valere anche per gli apparati pubblici e i soggetti autorizzati che li supportano.
In gioco c’è il patto democratico
Questa vicenda riguarda tutte e tutti. Riguarda il rapporto tra Stato e cittadini, tra istituzioni e comunità. Riguarda il patto democratico fondato sulla fiducia, la legalità e la trasparenza.
Se questi principi vacillano, non è solo la CELI a perdere: è la società intera.